[1] ASV, S. Chiara, b.1 (20-31 maggio 1237); Codex Publicorum (Codice del Piovego), I, cur. B. Lanfranchi Strina, Venezia 1985, sentenza 6, pp. 46-50 (5 aprile 1284).

[2] Documenti relativi alla storia di Venezia anteriori al Mille, II, secoli IX-X, cur. R. Cessi, n. 70, pp. 139-144, a p. 143 (994-1008: trascrizione Canaledo).

[3] Nell’ambito urbano più tardi la regione di Luprio è apparsa progressivamente ristretta alla zona centrale del sestiere di S. Croce; ma ancora in A. Dandolo (Chronica per extensum descripta, aa. 46-1280 d.C., cur. E. Pastorello, «RIS», XII.I, Bologna 1938: V.XI.19, pp. 75-76) le “tumbas in Luprio situatas” accolgono la fondazione di due chiese molto lontane fra loro, “Crucis” (S. Croce) e “aliam vero sub vocabulo sanctorum Hermacore et Fortunati” (S. Marcuola): comprendevano cioè gran parte del sestiere di Cannaregio, che non figura nello stesso autore (Chronica…, cit., VIII.XII.16, p. 121) fra le “insule Gemini, Rivoalti, Luprii et Dorsoduri”, cohaderentes al castro Olibolensi. Per quanto riguarda il significato del nome, si nota che M.A. Sabellico (De situ Urbis Venetae libri III, Venezia 1502: I, I Regio, p. 10) aveva conservato fino all’alba dell’età moderna una tradizione corretta: “Luprium veteres a palustri facie dixere”: cioè da allupies (alluvione).

[4] SS. Secondo ed Erasmo, cur. E. Malipiero Ucropina, Venezia 1958, n. 1, pp. 5-8, a p. 6 (settembre 1089).

[5] Ibidem.

[6] Codex…, cit., s. 3, pp. 28-34, a pp. 30, 31, 32 (giugno 1151, maggio 1175, febbraio 1176); “flumen de Mestre qui appellatur Marcinigum” (ASV, S. Salvador, b. 12, 1280); “Flumen Mestre quod currit versus Venetias”: ASV, SEA, r. 342, c. 30 (1368).

[7] P.e.: ASV, SEA, r. 342, c. 24 (31 marzo 1339). Significativa una autorizzazione per grazia del 1353 alla vedova Francesca Moçoipsam suam casetam cooperi et tegi[…] de cana non obstante aliquo ordine contra hoc” (ASV, Grazie, r. 13, c. 25).

[8] Codex…, cit., s. 3, a p. 30 (giugno 1151).

[9] Civico Museo Correr, mss. Gradenigo-Dolfin, n. 175.I, alle pp. 279 e 257.

[10] Codex…, cit., s. 3, a p. 29 (giugno 1118), e pp. 32-33 (26 febbraio 1283). Questi luoghi, insieme con numerosi altri toponimi e idronimi della medesima regione presso l’attuale gronda lagunare, sono più volte ricordati in altri documenti trascritti nella sentenza 10 (14 marzo 1285), del 1239, 1195, 1210, 1227, 1271, 1195, e nella stessa sentenza (Codex…, cit., pp. 64-71).

[11] Documenti…II, cit., n. 15, pp. 20-21 (gennaio 880): in questa fonte il cognome di Iubiano è corrotto in Aulibado, e Luprio assume la grafia Lubrius. Il cognome Aulypato poteva essere letto Aulus ýpatos, o aule ýpatos.

[12] G.B. Gallicciolli, Delle Memorie Venete antiche, profane ed ecclesiastiche, I-VIII, Venezia 1795: I, n. 27, p. 52: “quod Malgariae turris statuatur” (19 dicembre 1209); V. Piva (Il Patriarcato di Venezia e le sue origini. I-II, Venezia 1938-1960: II, p. 124) data chiesa e ospedale all’anno 1200. “Ecclesiam et locum sancti Iuliani de buca de Flumine” sono citati nella s. 12 del Codex…, cit., pp. 80-82, a p. 80.

[13] F. Sansovino, Venetia città nobilissima et singolare descritta in XIIII Libri, Venezia 1581, c. 86v. Il campanile a pianta circolare è ben visibile nella incisione del de’Barbari.

[14] SS. Secondo…, cit., n. 1, pp. 5-8, a p. 6. Un esercizio di restituzione in W. Dorigo, Venezia romanica. La formazione della città medioevale fino all’età gotica, I-II, Verona 2003: I, p. 37.

[15] ASV, S. Zaccaria, b. 7 pergg. (gennaio 1085 e agosto 1087 = Codice Diplomatico Veneziano, cur. L. Lanfranchi, nn. 262 e 281).

[16] In A. Dandolo (Chronica…, cit., VIIII.VII.3 (p. 210, a margine) si legge che la chiesa di S. Geremia profeta ricevette nel quinto decennio del secolo XI una reliquia di san Bartolomeo apostolo dal mercante Mauro Torselo e dal figlio Bartolomeo, di ritorno dalla Puglia, i quali della chiesa “fuerant principaliter fundatores”.

[17] La frequentazione di questi luoghi dovette essere assai antica, in ragione dei laghi citati coltivati a salina. Almeno in parte (p.e. verso sud-ovest, lungo il Canale in prossimità della giratha) essi stavano nel 1152 in giurisdizione della parrocchia dei SS. Simone e Giuda, che si trovava sulla riva meridionale del Canale, sì che la stessa parrocchia di S. Lucia (nota solo dal 1131) fu computata per molto tempo nel sestiere di S. Croce, e venne riconosciuta al sestiere di Cannaregio solo alla fine del Trecento, dopo che era stata legata ad esso nel 1315 esclusivamente per la competenza dei Signori di notte (ASV, Maggior Consiglio, l. Civicus, c. 50v (25 maggio 1315). Anche lo scavo assai antico del rio Marin, già documentato nel 994-1008 (rivo Marini: Documenti…, II, cit., n. 70, pp. 139-144, a p. 140), sembra in questa ottica legare quest’area alle imprese di colonizzazione della regione sud di Luprio, ben nota più tardi per le bonifiche del lacus Badovarius (v. W. Dorigo, Venezia…, cit., I, p. 40).

[18] Un Pietro Steno è titolare di un livello del monastero fin dal 1138 (SS. Secondo…, cit., n. 8, pp. 18-19, luglio 1138).

[19] Ivi, n. 7, pp. 16-18 (giugno 1138).

[20] Fra il canale della Giudecca e il rio terrà S. Vio il monastero dei SS. Ilario e Benedetto vende nel 1075 a Giovanni Signolo una pecia de luto acosa aqua labente (SS. Ilario e Benedetto e S. Gregorio, curr. L. Lanfranchi e B. Strina, Venezia 1965, n. 12, pp. 47-49), facente parte del suo “laco que holim fuit fundamentum salinarum et nunc desertum permanet”. Nel vasto compendio di aque di Dorsoduro il passaggio dall’economia del sale a quella molinaria è ampiamente documentato dalle donazioni del clan dei Bonoaldo al monastero di S. Giorgio maggiore: “…aqua ubi olim fundamentum salinarum fuit et vos modo ibi aquimolum fabricatum habetis” (1081); “…paludem et aqua quae […] quondam fuit fundamentum salinarum […] ad edificandum molendinum vel fundamentum salinarum” (1119) (S. Giorgio Maggiore. II. Documenti 982-1159, cur. L. Lanfranchi, Venezia 1968, n. 51, pp. 136-138, e n. 122, pp. 268-270). Per la fenomenologia della trasgressione marina fra XI e XII secolo v. W. Dorigo, Venezia…, cit., I, pp. 34-44.

[21] SS. Secondo…, cit., n. 7 (1138), n. 9 (1139), n. 25 (1170); ASV, SS. Cosma e Damiano, b. 7 (1205, 1208, 1220, 1226).

[22] SS. Secondo…, cit., n. 30, pp. 50-53, a p. 51 (8 settembre 1177).

[23] ASV, Procuratori di S. Marco Misti. Miscellanea pergamene, b. 5 (1240); PSMM.MP, b. 3 (1251); SS. Cosma e Damiano, b. 7 (1258); ASV, Cancelleria inferiore. Notai, b. 102 (1261); ASV, Procuratori di S. Marco de ultra, b. 78 (1261); PSMM.MP, b. 4 (1266); PSMM.MP, b. 6 (1269); PSMM, b. 105A (1269); PSMM.MP, b. 6 (1277).

[24] ASV, Miscellanea di atti diplomatici e privati, b. 2 (1225); PSMM.MP, b. 2 (1233); SS. Cosma e Damiano, b. 7 (1236); PSMU.MP, b. 1 (1237); SS. Cosma e Damiano, b. 7 (1253); PSMM, b. 105A (1269); SS. Cosma e Damiano, b. 7 (1294); CI.N, b. 178 (1298); PSMU, b. 156 (1299).

[25] Archivio Patriarcale di Venezia, S. Marcuola (1218); ASV, CI.N, b. 102 (1298); CI.N, b. 30 (1298).

[26] APV, S. Marcuola (1218).

[27] Codex…, cit., s. 6.

[28] ASV, SEA, r. 219, Sumario de le gratie che son ne l’offitio d’i Pioveghi…, sub S. Gieremia: a “Dona Fina, relicta de ser Giacomo piatter da S. Gieremia”.

[29] ASV, PSMU.MP, b. 5 (18 marzo 1323).

[30] Le partes del Maggior Consiglio respinte sono datate 5 dicembre 1282 e 16 marzo 1298 (Deliberazioni del Maggior Consiglio di Venezia, cur. R. Cessi, III, Bologna 1934, pp. 15 e 435).

[31] W. Dorigo, Venezia…, cit., II, pp. 840-846, passim.

[32] Maria ved. Davanzago, “domum maiorem, cum sua porticu”, 1237 (ASV, PSMU.MP, b. 1); Marino Trevisan, “domus de petra in solario”, 1329 (ASV, CI.N, b. 126); Jacobello da Molin, “domus petrinea posita super viam comunem. Et una de lignamine posita super paludem cum suo orto sive terra vacua […] et […] cum sua curia, 1344 (ASV, CI.N, b. 126); Leonardo Steno, “proprietas magna”, 1351 (ASV, PSMM, b. 94); Felicia Steno ved. Barozzi, “proprietas magna a stacio cum pluribus domibus a segentibus et cum suo orto de retro super palude”, 1364 (ASV, CI.N, b. 88).

[33] Si vedano i nomi e la selezione documentaria relativa in W. Dorigo, Venezia…, cit., II, pp. 833-834 e 840-846, passim. Analogamente, per la parrocchia di S. Marziale, ivi, I, pp. 585-586, e II, pp. 817-818 e 829-832.

[34] Codex…, cit., pp. VII-XXVIII, e 17-19; W. Dorigo, recensione al detto, in «Venezia Arti», [1] 1987, pp. 104-105.

[35] W. Dorigo, Venezia…, cit., I, pp. 588-590, e II, pp. 653-657; II, p. 957 e pp. 967-972.

[36] ASV, SS. Cosma e Damiano, b. 1 (15 luglio 1327). Una cintura palificata (“pecia de terra circumdata nunc de palis”) di recente realizzazione lungo il rivus pitulus si data precedentemente (5 dicembre 1269: ASV, PSMM, b. 105A).

[37] W. Dorigo, Venezia…, cit., II, pp. 989-990 e 1002-1003.

[38] W. Dorigo, Venezia Origini. Fondamenti, ipotesi, metodi, I-II, Milano 1983: II, pp. 414-428.

[39] Codex…, cit., s. 6, p. 48 (1284); ASV, SEA, r. 219, Sumario…, cit., sub S. Gieremia (1429, 1430, 1438).

[40] Sono del resto frequenti le grazie che consentono al beneficato “quod possit atterrari facere extra tantum quantum fecerunt sui vicini” (ASV, Grazie, r. 16, c. 60v: 1366), o “di poter slongar il suo territorio tanto quanto si estende li altri suoi convesini” (ASV, SEA, r. 219, Sumario…, cit., 1438).

[41] ASV, Maggior Consiglio, l. Civicus, c. 104 (26 agosto 1316); ASV, Senato Misti, r. 31, c. 138v (21 marzo 1366).

[42] ASV, Notatorio di Collegio, r. 4, c. 158 (24 settembre 1410 e 27 febbraio 1414).

[43] F. Brunello, Arti e mestieri a Venezia nel Medioevo e nel Rinascimento, Vicenza 1981, pp. 137-154.

[44] Clodarias erano p.e. quelle presso S. Giobbe e il “rivus proprius Victoris Gonella”, di cui si legge in un contratto fra i Gonella e il doge Cristoforo Moro del 1465 (ASV, S. Giobbe, b. 5, c. 66): esse si identificano nella pianta del de’Barbari a sud-ovest del convento. Anche mediante la pubblicazione di un’interessante mappa quattrocentesca (ASV, Miscellanea atti diversi manoscritti, b. 138) S. Piasentini (In capo al rio di Cannaregio alla ricerca di San Giobbe nel tardo medioevo, in Punta San Giobbe. Storia e cronaca di un lembo di Venezia, cur. G. Caniato, Venezia 1997, pp. 13-21, a pp. 15 e 18; e successivamente Aspetti della Venezia d’acqua dalla fine del XIV alla fine del XV secolo, in Venezia la città dei rii, curr. G. Caniato, F. Carrera, V. Giannotti, Ph. Pypaert, pp. 40-67, a p. 45) identifica il rivus proprius con l’attuale rio di S. Giobbe.

[45] [Fation in Venetia al tempo de misser Andrea Contarini Doxe per la guera di Zenovesi che fo del 1379] in I prestiti della Repubblica di Venezia (secc. XIII-XV), intr. G. Luzzatto, Padova 1929, I, p. I, pp. 138-195, a p. 164: “Antonio Bon Ramboldo L. 4500, Zuan Bon Ramboldo L. 2000”; ASV, SEA, r. 219, Sumario…, cit., sub S. Gieremia: “Vettor Gonnella” e “commissaria de ser Piero Gonella”.

[46] ASV, Grazie, r. 22, c. 129; SEA, r. 219, Sumario…, cit., sub S. Gieremia: “squerro ch’è per apparte de l’altra banda del rio” (1429); ivi: “uno squerro che da fazza varda verso san Zorzi d’Alega” (1430).

[47] Ivi: “sette sue case poste a S. Geremia sopra il paludo” (1424); ivi: “una sua casetta posta a S. Gieremia appresso l’altre sue casette” (1426).

[48] F. Semi, Gli “Ospizi” di Venezia, Venezia 1983, pp. 189-197; P. Miniutti, L’ospedale di San Giobbe. Sei secoli di assistenza ai poveri, in Punta…, cit., pp. 23-33.

[49] S. Piasentini, La corte di Ca’Moro a San Giobbe. Dallo squero, alle case per i poveri marinai, ai macellai (1471-1719), in Punta…, cit., pp. 34-49.

[50] P. Antonetti, Il Macello di San Giobbe. Storia di un complesso produttivo (1843-1972), in Punta…, cit., pp. 57-73.

[51] ASV, SEA, r. 219, Sumario…, cit.,: “et fu terminado esser publico, et che tutti dovesse disatterrar”.

[52] Nei documenti più espliciti sulla questione si legge: “quod eligantur tres boni homines et sapientes super facto canapi et picule vel picis […] habere debeant […] domos ad ponendum dictas res, si erit necesse”: I Capitolari delle Arti Veneziane sottoposte alla Giustizia Vecchia dalle origini al MCCCXXX, I, cur. G. Monticolo, Roma 1896, pp. 236-237 (ASV, Maggior Consiglio, Liber Comunis primus, c. 27: 9 maggio 1282); “…quod eligantur tres boni homines qui non sint de arte canipi, sed sint instructi ad hoc […] et teneantur ipsi tres emere vel emi facere totum canipum quod veniet Venecias, et ire vel mittere ad emendum extra Venecias, si fuerit necesse, pro isto comuni, et facere spadolari et filari atque committi ipsum canipum tantum legaliter quantum fieri poterit, pro comuni, in uno loco ubi videbitur posse fieri magis convenienter”: ivi, pp. 240-241 (ASV, M.C., l. Pilosus, c. 38v,: 30 dicembre 1293); “…quod canapum revertatur ad primum statum, [cioè al monopolio comunale] et non possit discaricari in Venecias alibi quam in domo comunis, et ibi laborari cum illis ordinibus et modis que videbuntur…”: ivi, pp. 345-346 (ASV, M.C., l. Magnus, c. 4 v,: 31 gennaio 1300); “…aliquis non potest trahere de domo comunis refudium de canipo…”: ivi, pp. 246-247 (l. Magnus, c. 14: 6 aprile 1301); “…quia multi defectus sunt in domo canipi comunis: capta fuit pars quod […]  possint super ipsis deffectibus providere…”: ivi, p. 247 (l. Magnus, c. 30v: 7 luglio 1302); “…quod quilibet possit adducere canapum filatum Venecias […] conmittendo ipsum in domo nostri comunis”: ivi, p. 248 (l. Magnus, c. 42: 21 febbraio 1303); la domus canipi communis era detta Tana comunis (14 febbraio 1307: ASV, M.C., l. Capricornus, c. 32); “…domus in qua laboratur canipum comunis posita in confinio sancti Yeremie possit emi pro communi…”: I Capitolari…, cit., I, p. 254 (ASV, M.C., l. Civicus, c. 57v: 17 luglio 1315); sembra riferirsi a questo acquisto la pars del 5 luglio 1317 (l. Civicus, c. 154) che ordina “quod solvatur peccunia” “de domo quam commune nostrum emit a Tantalise de Spitali de confinio S. Moysis, que possessio sita est in confinio S. Jeremie”; infine ancora il 7 novembre 1324 (I Capitolari…, cit., I, pp. 255-256; ASV, Avogaria. Raspe, I.I, c. 11) si nominano i “dominis de la Tana ad canipum” e “Franciscum magistrum ad la Tana”, in epoca nella quale il Comune non aveva ancora acquisito il lacus sancti Danielis, e della Tana delle Corderie dell’Arsenale non esisteva nemmeno il progetto: alludendo quindi certamente alla domus di S. Geremia.

[53] Le misure delle Corderie dell’Arsenale , prese da Giovanni da Zon nel 1564 c.,  una quindicina d’anni prima che se ne intraprendesse la ricostruzione rialzandone il livello, corrispondono a quelle attuali: passi 184x12, ossia m 319,90x20,86 (la lunghezza è quella del lato sud, il lato nord è un po’ più breve: m 316) (ASV, Senato Terra, f. 31 (13 dicembre 1364); v. E. Concina, L’arsenale della Repubblica di Venezia, Venezia 1984, pp. 158 e 178, note 45 e 46.

[54] W. Dorigo, Venezia…, cit., I, p. 411; ASV, Notatorio di Collegio, r. 10, c. 84 (7 agosto 1463): Il Piovego faccia scavare “el rio de Chanaregio el qual non a cavo, chiamasse el rio de chalonegi e de procuratori, dal chavo de cha Venier reto tramite fin in paludo…”; ivi, r. 14, c. 7 (12 gennaio 1490): Si scavi il “rivus Canaregli videlicet Canonice et procuratorum […] incipiendo a capite de cha Venerio et eundo recto tramite et continuando usque in paludem…”. Vedi S. Piasentini, Aspetti…, cit., pp. 62 e 66.

[55] ASV, CI.N, b. 126, 29 luglio 1343; CI.N, b. 113, 20 giugno 1374.